Lettore: PMI, start-up
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L’uso di marchi altrui nelle campagne pubblicitarie online è un argomento spesso trascurato dalle PMI che operano nel contesto digitale e dai loro consulenti SEO. Tuttavia, è essenziale comprendere le implicazioni legali e i rischi associati a questa pratica.
Utilizzare un marchio come parola chiave nella pubblicità online non costituisce automaticamente una violazione del marchio stesso, a meno che tale utilizzo non pregiudichi una delle sue funzioni principali, come la funzione distintiva, pubblicitaria o di investimento. Come sappiamo un marchio d’impresa svolge diverse funzioni per un’azienda. In primis, funzione distintiva, ovvero quella di distinguere l’origine commerciale del prodotto o del servizio contraddistinto dal marchio. Ma non solo. Il marchio permette il consumatore di associare determinate caratteristiche qualitative al prodotto o al servizio, ha un forte valore comunicativo e attraverso gli investimenti in marketing riesce ad instaurare un rapporto duraturo con i clienti esistenti ed attrarre quelli nuovi.
Utilizzare il marchio di un concorrente online, anche in modo apparentemente innocuo, può violare la legge sui marchi e costituire atto di concorrenza sleale. Questo può accadere se l’uso del marchio altrui nei metadati, nei link o come keyword pubblicitaria crea confusione o danneggia la funzione distintiva o la reputazione del marchio (la problematica tipica dei marchi notori, che può manifestarsi come la diluizione (diluition) o lo svilimento (tarnishment) oppure consistere nell’indebito vantaggio che viene tratto dall’uso del marchio).
La giurisprudenza nazionale ed europea è concorde nel ritenere illegittimo l’uso dei marchi altrui quando crei confusione nel consumatore medio o danneggi gli interessi del titolare del marchio. Ad esempio, l’inserimento del marchio di un concorrente come keyword in Google Ads, o nei metadati del sito web, o nell’URL del sito stesso, può essere considerato una violazione del marchio se tale uso comporta rischio di confusione, come quando il messaggio pubblicitario, per il quale è stata utilizzata la keyword identica al marchio altrui, è così vago da poter suscitare l’incertezza o l’impossibilità dell’utilizzatore internet mediamente informato, attento ed avveduto di determinare con certezza l’assenza di un qualsiasi collegamento economico con il titolare del marchio.
Un altro aspetto da considerare è il potenziale impatto sull’immagine del marchio. L’uso non autorizzato del marchio altrui può danneggiare la reputazione del marchio e ridurne la distintività, soprattutto se il marchio è celebre. In tal caso, la diluizione o lo svilimento del segno a seguito dell’uso come keyword può rendere tale pratica illegittima.
Non solo gli inserzionisti possono essere ritenuti responsabili delle violazioni dei diritti sul marchio, ma anche i motori di ricerca, come Google, possono essere coinvolti in queste controversie se si dimostri che siano consapevolmente partecipi delle pubblicità dei terzi o restino inerti verso le richieste di rimuovere gli annunci segnalati da parte del titolare di marchio. Teniamo presente che i motori di ricerca non sono ritenuti responsabili per il contenuto degli annunci, a meno che non si dimostri la loro inerzia nel bloccare un uso indebito del marchio.
Considerando che le circostanze di utilizzo nascosto dei marchi altrui possono essere molteplici e varie, le PMI devono affrontare i rischi legali associati all’uso dei marchi altrui nelle loro campagne pubblicitarie online. È quindi consigliabile interpellare i consulenti in Proprietà Industriale prima di istruire le agenzie di comunicazione e le agenzie SEO.